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Channel: Menta e Rosmarino
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Cronaca della chimica dei miei giorni

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Una nuvola bianca si addensa davanti alle mie labbra. Chiudo le mani a conchetta e ci soffio dentro per scaldarle, prima di partire. E' freddo e ho dormito troppo poco, ma mi sento felice. Stamattina il raccordo anulare mi sembra meno nemico. Roma ancora dorme. Mi lascia spazio, mi fa muovere libera senza ch'io debba scansare nessuno. Raggiungo Trastevere mentre intorno un silenzio surreale mi avvolge. Attraverso questi vicoli dove poche anime mi accompagnano: un barista che mette fuori le sue sedie, un tizio che consegna pane, un uomo che mi cammina dritto di fronte e che sta decidendo se sarà lui a spostarsi o se lo lascerà fare a me. Lo inganno e ripiego a sinistra prima che lui possa capirlo. Ripiego per entrare in un bar e prendere un caffé che mi svegli un pò. Quattro mura intorno che trasudano di anni 80, a partire dalle improbabili cartoline appese alle spalle del bancone, quelle con donne abbronzatissime e nudissime che mandano saluti da spiagge cristalline: saranno vecchie almeno di vent'anni. Sorrido mentre esco e il tipo mi richiama. "Mi scusi, sono suoi?". Che sbadata, stavo lasciando i miei ferri da calza lì. 
Lui mi guarda come curioso: che ci fa una giovane donna con dei ferri da calza in mano a quest'ora del mattino? Forse vorrebbe chiedermelo, ma mentre lo ringrazio infilo le mie cuffie nelle orecchie e riprendo le vie di Trastevere. Forse se lo chiederà ancora per un pò, penso mentre sento i miei passi sbattere sul selciato. Il portone che mi aspetta è vicino, rallento il ritmo perché voglio godere ancora di questa immobile bellezza intorno. Il portone è altissimo e nero, e ormai mi è come familiare. 
Paola voleva addirittura lasciarmi le chiavi. Pazza. O forse no. 
Ci si trova così con le persone, quelle giuste. Ci si riconosce in mezzo a tanti, si annusano gli stessi odori
Ci vediamo per la terza volta in vita nostra, eppure è come se fosse sempre. Tre donne diversissime tra loro e di tre età differenti, che vivono due giorni gomito a gomito. La scusa è quella di fare i panettoni, di imparare insieme qualcosa di più, ma in realtà c'è tutta una chimica di cose che accade in questi due giorni intensi. 

Lilly mi offre un caffé, il mio secondo, e beve il suo vicino a una delle bellissime finestre di questo posto. C'è la luce ancora bluastra del mattino mentre la vedo che è concentrata e guarda giù. Intuisco che sta per dire qualcosa, lo vedo dalla piega che fa la sua fronte. 
"Guarda" mi dice "guarda". Faccio capolino con la testa.
"Guarda cosa scaricano al ristorante e poi te lo fanno passare per fresco: sono tutti surgelati".

Non mi meraviglio di quello che vedo, ma mi sorprende questa ragazza così attenta. Ci avevo fatto caso già ieri, quando dietro al bancone di metallo faceva la sua arringa contro alcuni tipi di ricette, "fatte per chi non ha desiderio di pensare, per chi esegue senza farsi domande". E' straniera Lilly, è una che lavora sodo senza fare mai una piega. Non è una blogger come me, non ha una scuola di cucina come Paola, è solo una ragazza estremamente appassionata e con un grande spirito di osservazione. E' questa la prima cosa che amo di lei, oltre alla sua massa di capelli e alla sua faccia acqua e sapone. E che carattere! Una pura, una testarda. Paola la prende in giro "Meno male che è venuta via dal suo Paese, sarebbe altrimenti morta impiccata in qualche piazza" dice ridendo e facendo riferimento alla sua inclinazione a fare solo di testa sua. 

In due giorni che stiamo insieme, succedono mille cose. E vorrei stringerle tutte. C'è spazio per ridere e parlare, per inventare una focaccia, per impastare panettoni, panini integrali. Per fare due passi al mercato di Testaccio, per cantare canzoni con la radio accesa, tra una cassata siciliana e una zuppa inglese. Io e Paola balliamo sbattendoci i fianchi per allentare la stanchezza di stare in piedi da due giorni. Due sere tirate fino all'una, quando tocco il letto non dormo, svengo.

"Non ci sarà più Natale, senza che io pensi a te"

Nemmeno per me, Paola.
Nemmeno per me.

© Michela De Filio







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